IL CONCILIO VATICANO II E LA CONTINUITA' DELLA TRADIZIONE
Tra le molte tensioni che attraversano oggi il mondo cattolico, una delle più rilevanti — e forse delle più fraintese — è quella legata all’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Tra le molte tensioni che attraversano oggi il mondo cattolico, una delle più rilevanti — e forse delle più fraintese — è quella legata all’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. A più di sessant’anni dalla sua conclusione, questo grande evento ecclesiale continua a suscitare letture contrastanti e, non di rado, radicalmente opposte. Da un lato, c’è chi lo ha trasformato in una bandiera del cambiamento, presentandolo come l’inizio di una “nuova Chiesa”, discontinua rispetto al passato e più docile allo spirito del mondo. Dall’altro, c’è chi lo rigetta in blocco, come una rottura traumatica con la Tradizione, arrivando talvolta a negarne validità e autorità.
Entrambe queste prospettive si nutrono della medesima illusione: che il Concilio Vaticano II rappresenti una cesura nella storia della Chiesa. Ma la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica, non conosce cesure. Essa attraversa la storia come un fiume che, pur adattandosi ai paesaggi che incontra, resta sempre se stesso. La Tradizione è la sua linfa, non un ostacolo; il Magistero è il suo timone, non una zavorra.
L’unica lettura coerente con la Fede e con la struttura organica della Chiesa è quella che Benedetto XVI chiamò ermeneutica della continuità. Non si tratta di una posizione intermedia tra due estremi, ma dell’unica via autenticamente cattolica: quella che riconosce nel Concilio Vaticano II un legittimo aggiornamento pastorale, nel solco della Tradizione e non in opposizione ad essa.
Nella storia della Chiesa, i grandi Concili sono sempre stati momenti di risposta ai mutamenti profondi dell’umanità. Così fu nei primi secoli, con i Concili da Nicea a Calcedonia, convocati per definire la retta dottrina in un mondo in via di cristianizzazione; così fu nella riforma gregoriana, quando la Chiesa dovette riaffermare la sua libertà spirituale di fronte al potere feudale; così ancora fu con il Concilio di Trento, che affrontò la frattura protestante e i primi segni di secolarizzazione. In ciascuno di questi momenti, la Chiesa ha saputo riformarsi senza rinnegarsi, custodendo la Fede ricevuta dagli Apostoli e rinnovando gli strumenti pastorali e disciplinari per comunicarla.
In questa linea si colloca anche il Vaticano II. Convocato da San Giovanni XXIII in un mondo che stava passando dall’eurocentrismo alla globalizzazione, il Concilio volle rispondere alle nuove sfide culturali, antropologiche e politiche con il linguaggio del dialogo, della verità e della carità. Non cambiò la Dottrina, ma cercò vie più efficaci per annunciarla.
È un dato che alcuni testi conciliari, soprattutto se letti fuori dal loro contesto e con occhi ideologici, possano prestarsi ad ambiguità. Ma questa è una debolezza dell’epoca, non del Magistero. I problemi non stanno nel Concilio, ma nelle sue deformazioni. Non nel Dei Verbum o nella Lumen Gentium, ma nelle interpretazioni arbitrarie che ne hanno fatto pretesto per derive liturgiche, dottrinali e pastorali.
Per questo è fondamentale tornare ai testi. Solo un approccio onesto e approfondito consente di cogliere l’equilibrio, la continuità e la fedeltà alla Tradizione che attraversano tutto il Vaticano II. Le aperture del Concilio sono sempre custodite da limiti precisi. Le novità si inseriscono in una cornice organica. I silenzi, spesso invocati per giustificare qualsiasi innovazione, vanno letti alla luce del Magistero precedente, non contro di esso.
Oggi, più che mai, la Chiesa ha bisogno di fedeltà consapevole. Non di restaurazioni nostalgiche, né di fughe in avanti. Chi ama veramente la Tradizione non la usa come clava per distruggere, ma come fondamento per costruire. E chi vuole servire la Chiesa non alimenta scismi silenziosi, ma lavora per l’unità nella verità.
Il Concilio Vaticano II è parte viva della Tradizione cattolica. Non è un nuovo inizio, ma un passo ulteriore nel cammino bimillenario della Chiesa. In un tempo di confusione e frammentazione, questo è il messaggio da recuperare: che la verità cattolica è una, coerente, incarnata nella storia e tuttavia sempre superiore ad essa. E che solo nella luce della Tradizione si può affrontare il presente senza smarrire la via.