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Religioni 18-12-2022

BIBBIA / L'Eden prima della caduta

Vediamo ora il secondo racconto della Creazione del libro di Genesi, dove si vedono la relazione dell'uomo con Dio, con la Natura e con l'altro sesso, in uno stato di armonia prima che il peccato originale corrompa ogni cosa

 

 

Il capitolo 2 di Genesi inizia col riposo del settimo giorno, suggello del racconto del capitolo 1, al quale dedicherò un approfondimento a parte per lo straordinario impatto che esso ha avuto nella nostra civiltà. Invito tutti a prendere il testo sotto mano e seguire la mia esegesi con un occhio su di esso.

Dopo le poche righe con le quali viene istituita la settimana di 7 giorni, inizia il racconto del Giardino dell'Eden (nell'immagine un dipinto di Johann Wenzel Peter conservato nella Pinacoteca Vaticana) che culminerà nella caduta, di cui tratteremo la prossima volta, mentre qui ci concentreremo sulla parte antecedente. Sono due pagine celebri, una luminosa e l'altra oscura, che tutti conoscono almeno per sentito dire. Entrambe descrivono le tre relazioni fondamentali: con Dio, con la Natura e con l'essere umano complementare, cioè quello dell'altro sesso.

Protagonista è ha-adam (dove in ebraico antico  ha è l'articolo e  adam sta per "uomo"), dunque Adamo è anche simbolo dell'umanità a cui tutti apparteniamo, archetipo di ogni uomo che è presente in nostro padre, in ognuno di noi, nei nostri figli, in chi ci ha preceduto e in chi verrà dopo di noi nella Storia umana. La natura di Adamo è la natura di ogni essere umano, sempre la medesima fin dal principio, e questo è uno dei concetti principali che l'autore ignoto di Genesi - libro relativamente tardivo del canone veterotestamentario, risalente al V secolo avanti Cristo - vuole comunicare nel suo racconto ispirato.

La scena è ambientata in un giardino, quello che successivamente (il testo di Genesi non ne parla, riferisce solo il nome "Eden" come località) verrà chiamato "il paradiso terrestre"; è la rappresentazione di un mondo pacifico e armonico. L'uomo è, questo sì, collegato alla materia, tanto che Dio sembra un vasaio che crea il suo capolavoro "plasmato con polvere del suolo", ma ha anche il respiro stesso di Dio che penetrando nelle narici lo anima; non è solo materia e nemmeno solo vita biologica, ma è coscienza, è spirito, è anima razionale, come direbbe San Tommaso d'Aquino. L'uomo è rationalis naturae individua substantia, per usare la celebre definizione di Severino Boezio, non è un semplice animale: esso è, come avevamo visto alla fine del primo racconto della Creazione, "a immagine e somiglianza di Dio".

L'uomo non guarda solo verso l'alto, cioè verso il suo Creatore, ma si rivolge anche verso la terra a cui è legato: ecco allora la seconda relazione, quella con la Natura, che l'autore sacro descrive con l'atto di "dare il nome" alle cose, nel quale l'uomo esprime il suo ruolo di collaboratore di Dio e custode della creazione. La presa di coscienza di questo ruolo dell'uomo, per inciso, è la chiave per sviluppare un pensiero ecologico cristiano da contrapporre all'ecologismo materialista o panteista dell'epoca in cui viviamo. In questo "dare il nome" noi vediamo anche il principio del lavoro, della scienza e della tecnica, cioè delle attività che distinguono l'uomo da tutte le altre creature. Nel giardino, assieme a tutti gli alberi da frutto buoni da mangiare, vi sono anche l'albero della vita e l'albero della conoscenza del bene e del male, dei quali si parlerà nel prossimo capitolo per spiegare cosa realmente rappresentino. Già qui troviamo il comando di Dio circa la proibizione di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, essenziale per comprendere la caduta, come vedremo.

L'uomo è dunque in relazione armoniosa con Dio e con la Natura, in una vita di fede e di lavoro, ma giunto a sera percepisce un'assenza, si sente incompleto, sente il bisogno di guardare davanti a sè, gli occhi negli occhi. Ecco la terza relazione che gli fa scoprire "un aiuto ke-negdò", come si dice in ebraico, cioè che gli stia "di fronte". Il simbolo della "costola", sul quale si sono ricamate tante ironie antifemminili, vuole invece dire proprio questa comunione di carne e di ossa, cioè di vita e di realtà, tanto è vero che il primo canto d'amore dell'umanità, che poi troverà mille forme diverse per esprimersi nella Storia, suona così in bocca a Adamo che aveva prima scartato la compagnia di ogni altra creatura: "Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta". Per comprendere la seconda frase, bisogna leggere il testo originale in ebraico che vuole evidenziare la profonda intimità fra i due proprio con la somiglianza del nome comune, del sostantivo: l'uomo è ish, che in ebraico significa maschio, mentre la donna è isshah, che è il puro femminile di quella parola e indica la femmina. Uomo e donna hanno dunque un medesimo nome e "una sola carne" (2,24) che, nel linguaggio biblico, significa una sola esistenza che, unendosi, può generare la vita e l'esistenza di altri uomini e donne.

La pagina finisce con il verso (2,25): "Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna". Questo stato di purezza era destinato a non durare, perché l'ombra cupa del peccato stava per stendersi su di loro. Sarà il tema del prossimo capitolo.

 

 

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