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Religioni 28-12-2022

BIBBIA /Il peccato originale e la caduta

In questo articolo impariamo a leggere il testo del peccato originale su cui si fonda tutta la teologia della Redenzione, chiarendo alcuni concetti e sfatando alcuni miti per arrivare a una lettura matura del testo.

 

 

Il capitolo 2 di Genesi si chiudeva con l'istituzione del matrimonio ("I due saranno una carne sola") che non è una creazione giuridica umana, ma un dato di Natura indissolubilmente legato alla complementarietà fra maschio e femmina. Tutto era in armonia. Ma nel capitolo 3 entra il Male nel mondo attraverso il cattivo uso della libertà da parte degli esseri umani. Consiglio sempre di avere il testo sotto gli occhi per rendere più efficace il commento che comunque renderò semplice come quando lo spiego agli adolescenti.

Il Male entra nel mondo su istigazione del tentatore che è rappresentato dall’immagine del serpente che, nell’antico Vicino Oriente, era segno di fecondità e vita perenne, soprattutto a causa del suo mutare pelle. I culti della fertilità, praticati dalle civiltà ancestrali, come i Cananei che abitavano la Terra Santa prima dell’arrivo dei Giudei, costituivano una tentazione permanente per Israele, come attesta spesso la denuncia dei profeti (va ricordato che i libri dei Profeti sono più antichi di quello di Genesi, scritto non prima del V secolo avanti Cristo, come va sempre tenuto presente il contesto culturale e storico di formazione dei testi sacri, per capirne il significato e non incorrere nell’errore di una lettura letterale o superficiale come quella dei creazionisti protestanti).

Il tentatore è, perciò, innanzitutto incarnato nell’idolatria, nel rischio di deviare dalla fede nel Dio vero e unico verso divinità false o autoprodotte a proprio uso e consumo. La tradizione biblica successiva, sia giudaica che cristiana, vedrà nel serpente il simbolo di Satana (Sapienza 2, 24 nell’Antico Testamento – Apocalisse capitoli 12 e 20 nel Nuovo Testamento), anche se in Genesi non viene detto esplicitamente; in ogni caso, anche nel Vangelo di Giovanni il diavolo viene definito “omicida fin dal principio” e “padre della menzogna” (GV 8, 44) anche in riferimento al fatto che il serpente esordisce con una menzogna e causa l’ingresso della morte, conseguente al peccato, nell’esistenza dell’uomo creato originariamente per vivere in eterna comunione d’Amore con Dio, nell’armonia dell’ordine naturale.

Il serpente menzognero apre il capitolo con una domanda: “E’ vero che Dio ha proibito di mangiare i frutti del Giardino?”. Il serpente si rivolge a Eva (il nome Eva deriva dalla parola ebraica “hawwa” che significa “la Vivente” esattamente come Adamo deriva da “ha adam” che significa “l’uomo”, sono cioè gli archetipi di ogni donna e di ogni uomo). La prima risposta di Eva è corretta, poiché ella ribadisce che i frutti sono tutti disponibili tranne quello dell’albero che sta in mezzo al giardino e che noi sappiamo, dal capitolo precedente, essere “l’albero della conoscenza del bene e del male”.

Un tale albero è naturalmente sconosciuto alla botanica, anche se la tradizione popolare l’ha poi trasformato in un melo per via di un gioco di parole significativo solo in latino, quello che intercorre attorno alle parole “malus” (melo), “malum” (male) e ancora “malus” (stavolta nel senso di “cattivo”); da qui sono venute fuori le varie storielle sulla mela di Eva e sul pomo d’Adamo comparso perché il frutto proibito andò di traverso al primo uomo, ma sono tutte invenzioni popolari poiché in questo brano della Bibbia non si parla mai di mele. In realtà, l’albero è segno di vita, la “conoscenza” è l’esperienza intellettuale ed anche esistenziale, cioè le scelte fondamentali, e “bene e male” sono i due estremi che racchiudono tutta la legge morale.

Non sarà perciò difficile, adesso che i simboli sono spiegati, capire in cosa consista il peccato originale: si tratta della superbia, da cui ogni altro peccato scaturisce e deriva, che fa cadere l’uomo nella tentazione di ergersi a padrone della Natura “per essere come Dio” (questa la promessa del serpente in cambio della disobbedienza a Dio) e per diventare giudice supremo della morale, anziché liberamente accogliere la propria dimensione di creatura in relazione sincera con Dio e di custode della Natura che vive secondo l’ordine morale, desunto con la retta ragione e in armonia con l’ordine naturale del Creato.

La conseguenza della disobbedienza è la rottura delle tre relazioni fondamentali: quella con Dio, che comporta la cacciata dal giardino di Eden e l’irruzione della morte nella natura umana (“poiché sei stato tratto dalla polvere, polvere sei ed in polvere ritornerai”); quella con il prossimo (la donna) con l’inizio delle accuse reciproche, con la malizia (“si accorsero di essere nudi”) e con un rapporto che dall’essere una carne sola diventa problematico come un’attrazione fatale, dove alla pulsione-desiderio della donna corrisponde il dominio-possesso brutale dell’uomo  (“verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” e il verbo ebraico usato indica proprio il dominio del tiranno, del potente, del re despota); e terzo, quello con gli animali e la Natura, con l’inimicizia verso il serpente e l’obbligo a lavorare e irrigare i campi col sudore della fronte per trarne lo stretto necessario, in una condizione di risorse perennemente scarse anziché nell’ubertosa abbondanza precedente la caduta.

Tuttavia, nonostante l’ira di Dio (la sacra ira di Dio, sempre giusta e motivata, da non dimenticare mai) c’è poi traccia della Sua misericordia. Innanzitutto la cacciata dall’Eden è motivata dalla necessità di impedire che l’uomo si nutra ancora dell’altro albero menzionato nel capitolo precedente, ovvero dell’albero della vita che gli darebbe l’immortalità (divieto che è una metafora potente anche ai giorni nostri, in cui l’uomo gioca a fare Dio con la Tecnica, mentre non è un caso che l’albero della vita sia invece simbolo di desiderio negli ambienti esoterici). Secondo elemento di misericordia, Dio cuce delle pelli per farne un vestito agli uomini in sostituzione delle penose cinture fatte con foglie di fico con le quali si erano coperti dopo aver conosciuto la vergogna della nudità; in questo gesto c’è la premura di Dio che punisce giustamente per la ribellione, ma concede sia le capacità per sopravvivere che la Sua diretta Provvidenza anche per le cose materiali. Terzo, Dio in questo frangente parla tra sé e sé usando il “noi” e i cristiani hanno sempre letto l’anticipo della Rivelazione della Santissima Trinità di Dio in questa frase (Gen 3, 22) e quindi anche il seme della Redenzione necessaria: poiché l’offesa è rivolta a Dio che è infinito, infinita sarebbe stata la riparazione e quindi impossibile da compiere per qualsiasi uomo, a meno che lo stesso Dio, nella seconda persona trinitaria del Figlio eterno, non si facesse Egli stesso vero uomo in Cristo Gesù, ed espiasse il peccato a nome di tutti gli uomini e con la capacità, in quanto anche vero Dio, di dare soddisfazione piena all’Infinito offeso. Come dirà san Paolo nella Lettera ai Romani (5, 20): “Laddove è abbondato il peccato è sovrabbondata la Grazia” e con questa nota lieta chiudiamo il commento alla creazione, prima di lasciare spazio nel prossimo capitolo alle gravissime conseguenze del peccato con il racconto su Caino e Abele.

 

 

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