ZAIA? ANCA BASTA...
Dopo tre mandati, che aggiunti alla precedente vicepresidenza fanno un ventennio al vertice della Regione Veneto, l'astro di Luca Zaia comincia ad oscurarsi rapidamente
Ormai non si ha quasi più memoria di chi fosse al vertice della politica veneta prima di lui. Per molte persone, tutte quelle al di sotto dei 25 anni, dire Presidente di Regione significa dire Luca Zaia, giunto oltre la metà del suo terzo mandato che finirà nel 2025.
Il consenso è stato talmente elevato che, tra il faceto e il serio, si è arrivati a dire che l'espressione "consenso bulgaro" - riferita al periodo comunista dello Stato ex satellite dell'URSS - va aggiornata con "consenso veneto" riferendosi ai trionfi elettorali e alle percentuali di gradimento ottenuti in ambito regionale dall'ex Ministro dell'Agricoltura in questi ultimi due decenni.
Per anni espressione della defunta Lega Nord, ora in forza al partito che ne ha preso il posto con il nome "Lega per Salvini premier", il signor Zaia ha sempre giocato una partita sua, tenendosi lontano dalle guerre congressuali per il dominio interno e puntando tutta la sua carriera sui ruoli istituzionali: prima Presidente della Provincia di Treviso, poi Ministro di un Governo Berlusconi, poi vice del forzista berlusconiano Galan in Regione Veneto e infine, dal 2010 senza interruzioni, Presidente di Regione col più alto gradimento tra tutti i pari grado della Repubblica Italiana.
Espressione di un paternalismo che oscilla tra il bonario e l'autoritario, come un buon padre di famiglia campagnolo di altri tempi e abbastanza in linea, pur nella differenza di età e di carattere, con il modo di proporsi del vecchio "sceriffo" leghista Gentilini, sindaco di lungo corso a Treviso, Zaia ha rappresentato un modo di far politica che tanto piace ai veneti, basato su uno sbandierato pragmatico buon senso, con toni presentati come pacati ma fermi, con l'immagine del "fare" più che "ciacolare", il tutto condito da tanti nastri tagliati cerimoniosamente e tanti calici di prosecco alzati in favore di telecamera, come "el goto de vin dopo aver finìo de laorar".
Squallida propaganda, ma i veneti sono notoriamente più laboriosi che astuti.
Ora però sembra potersi applicare anche a Zaia, sebbene dopo trent'anni di carriera e un ventennio ai vertici regionali, quel detto che "i politici vanno cambiati come i pannolini dei bambini: spesso e per lo stesso motivo". Non vale per Zaia lo "spesso", ma un odore poco gradevole comincia a farsi sentire. La Pedemontana Veneta ancora non è finita e si sta rivelando un disastro sul piano finanziario che graverà sulle generazioni future, esattamente come sosteneva prima dell'inizio dei lavori chi scrive queste righe. Le Olimpiadi a Cortina sono presto diventate "Milano-Cortina" e ora stanno per venire parzialmente delocalizzate in Austria per l'incapacità di reperire i fondi per alcune infrastrutture necessarie alle gare. Inoltre, la "madre di tutte le battaglie" come è stata definita l'autonomia regionale, pur votata in massa dal 65% dei veneti col 98% di consenso, è ormai arenata e se verrà concesso qualcosa, si tratterà di un simulacro inutile, se non addirittura dannoso.
Sparita anche la Lega Nord, il nuovo partito di Salvini che ne ha ereditato parte del nome e l'avviamento, per così dire, ha accantonato le battaglie identitarie che connotavano il partito precedente, per concentrarsi solo su temi come sicurezza, lotta all'immigrazione, opere pubbliche e una generica "lotta agli sprechi della Pubblica Amministrazione". Si tratta cioè di un qualsiasi partito di Destra nazionale italiana, ideologicamente quasi indistinguibile da Fratelli d'Italia da cui si differenzia solo per l'origine e per il percorso che ha condotto esattamente allo stesso punto.
Zaia recentemente ha aggiunto qualcosa di suo, quasi distinguendosi dalla linea salviniana: ha sposato in toto l'agenda mondialista, non solo violentemente antidemocratica nel periodo della pandemia nel quale "el Governador" ha assunto toni da dittatura sanitaria della massima durezza, ma anche favorevole all'agenda radical-progressista che promuove tutte le istanze dell'idolo giovanile dichiarato di Zaia, il radicale Marco Pannella: eutanasia, transizione di genere, fecondazione eterologa, unioni civili, ovviamente aborto e divorzi brevi, legalizzazione della prostituzione e via cantando. Per uno eletto in un partito che si diceva difensore delle radici cristiane d'Europa e alle cui adunate, in Veneto, fa ancora capolino anacronisticamente il vessillo di san Marco, bisogna dire che fa effetto.
Alla fine del mandato, nel 2025, non dovrebbe essere più ricandidabile, a meno che non venga cancellata la legge sul limite del numero di mandati (a cui si è già derogato, concedendo a Zaia il terzo). I veneti cosa faranno? Voteranno acriticamente, per abitudine, qualunque candidato del partito di Salvini con la convinzione che si tratti ancora del vecchio partito di Bossi? Pur di non far vincere la Sinistra italiana, incompatibile geneticamente con i veneti, voteranno perfino un candidato di Fratelli d'Italia gettando a mare 30 anni di lotte contro il centralismo romano?
Penso a una di queste due ipotesi. La terza, quella di svegliarsi e di concedere attenzione a qualche novità più al passo con i tempi, come fu fatto alle origini del leghismo che sparigliava le carte del vecchio sistema della Prima Repubblica, mi sembra poco praticabile. I veneti sono caduti in uno stato di apatia, l'economia non è più rampante e trainante come negli anni Ottanta, la fede nei buoni costumi vacilla, la vergogna di aver obbedito quasi tutti come cani al guinzaglio alle ingiustizie imposte - anche e soprattutto da Zaia - durante la pandemia comincia ad emergere, l'etica del "fare" continua a prevalere su quella del "ciacolare", ed è un bene, ma lo fa ormai in modo meccanico e abitudinario, lasciando un silenzio rassegnato al posto del dibattito politico. Perché il leghismo, se è durato tanto a lungo, lo deve innanzitutto a "tante ciacole" che, se anche "no le impasta fritole", servono a elevare gli esseri umani dalla condizione di semplici bestie da soma.
Zaia è stato un campione di "ciacole", ma ormai "el gà stufà anca i can". Prima il Veneto volterà pagina e prima potrà tornare a pensare al presente e al futuro con un ruolo diverso da quello dei somari.