Ridurre lo spreco alimentare: imperativo morale
Senza alcun impatto ambientale e rendendo vano ogni discorso sulla necessità di produrre nuovi cibi (sintetici o a base di insetti), basterebbe approntare un sistema organizzato per il recupero di buona parte degli sprechi alimentari per risolvere molti problemi. Quasi tutti.
Ogni anno nel mondo viene gettato complessivamente oltre un miliardo di tonnellate di cibo, pari al 17% di tutto quello prodotto, con un impatto devastante sull'ambiente e sull'economia, oltre che a sollevare un problema etico in una situazione in cui ci sono oltre 800 milioni di persone affamate nel mondo. È quanto emerge dall'analisi Coldiretti in occasione in occasione della Giornata nazionale di prevenzione contro gli sprechi alimentari del 5 febbraio, con iniziative nei mercati di Campagna Amica in tutta Italia.
A guidare la classifica degli sprechi sono le abitazioni private dove si butta mediamente circa l'11% del cibo acquistato, mentre mense e rivenditori ne gettano rispettivamente il 5% e il 2%, secondo l'analisi della Coldiretti su dati Onu.
Un fenomeno che determina anche effetti dirompenti sull'economia, sulla sostenibilità e sul piano ambientale per l'impatto negativo sul dispendio energetico e sullo smaltimento dei rifiuti. Si stima, infatti, che le emissioni associate allo spreco alimentare rappresentino l'8-10% del totale dei gas serra. Nelle case italiane si gettano mediamente ogni anno oltre 27 chili di cibo all'anno per abitante.
La frutta è l'alimento più sprecato in Italia, con 1,2 chili a testa che finiscono nella pattumiera in un anno, seguita dal pane con oltre 0,8 chili pro capite e poi da insalata, verdure, aglio e cipolle, con perdite economiche nei bilanci delle famiglie per quasi 6,5 miliardi di euro, secondo il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell'Università di Bologna e di Last Minute Market da Borsa Merci Bologna 2023. (fonte AGI)
Di fronte a queste cifre è immediato il pensiero sull'evidente strumentalizzazione della propaganda mediatica, finalizzata a favorire i produttori dei "nuovi cibi" come carne sintetica e derivati di insetti, quando invece l'utilizzo di buona volontà e ingegno permetterebbe di ridurre lo spreco e aumentare la disponibilità di cibo, con impatto zero sull'ambiente. Dalla cucina degli avanzi alla doggy bag al ristorante, dal ritorno della gavetta in ufficio agli orti sul balcone, dalla lista della spesa allo sguardo attento alla data di scadenza, fino alla spesa nei mercati contadini a chilometro zero, sono solo alcune delle strategie da adottare per far scendere lo spreco alimentare nelle case.
Potrebbero nascere perfino delle imprese, o delle ONLUS, specializzate nella raccolta di cibo ancora edibile da ristoranti e supermercati per destinarli a mense dei poveri o a famiglie in difficoltà, con prezzi ridotti al minimo. Certamente questo tipo di attività toglierebbe una notevole prospettiva di guadagno economico al settore "novel food", ma in fatto di civiltà e di rispetto dei princìpi dell'etica sociale avremmo tutti da guadagnare. E tra i due tipi di guadagno, io non ho dubbi su quale sia da preferire.