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Politica e Società 09-09-2022

In morte di Elisabetta II

La dipartita della sovrana più longeva della Storia britannica, un'icona pop oltre che tutto quanto il suo ruolo le conferiva, ha scatenato un'onda emotiva che finora non lascia spazio a riflessioni storiche, sociali, politiche. Ma saper rimanere al di fuori del "mainstream" è un esercizio da coltivare sempre, se qualcosa di serio c'è da dire che meriti più del silenzio. Silenzio che, naturalmente, va rigorosamente rispettato per la persona defunta.

 

 

SIC TRANSIT GLORIA MUNDI e sarebbe bene ricordarselo ogni giorno, soprattutto se si è ricchi e potenti. Elisabetta II è morta, "de mortuis nihil nisi bonum" (dei morti nulla si deve dire, se non bene).

L'ondata emotiva scatenatasi con la notizia della morte della Regina d'Inghilterra sta, come è normale che sia, monopolizzando i mass media e i social networks, dove si fa a gara a chi commenta per esprimere il suo cordoglio e la sua partecipazione al lutto. Non c'è da stupirsi per questa cosa, in un mondo conformista come il nostro è così e non c'è nulla di strano. Sarebbe raro, piuttosto, vedere qualcuno fuori dal coro.

Per esempio qualcuno che critichi non la persona (è defunta e - ripeto - dei morti si parla bene o si tace), ma critichi la figura di monarca di un Paese imperialista, di capo di una chiesa scismatica, di emblema dell'aristocrazia in un Occidente fintamente democratico. Per esempio: un cattolico, repubblicano e indipendentista, potrebbe aver molto da ridire sulle lodi incondizionate a Elisabetta II. Anziché unirsi al coro delle "prèfiche da social" (le prèfiche furono le piangitrici istituzionali ai funerali, usanza lungamente praticata in molte zone mediterranee) potrebbe considerare che durante il regno della defunta sovrana non sono mancati gli episodi sanguinosi e di violenta repressione dei diritti umani nei confronti di un popolo che reclamava il suo diritto a vivere libero sulla sua terra, la terra d'Irlanda che ancora è in parte occupata dalla Corona Inglese (la regione dell'Ulster, con Belfast capoluogo). Qualcuno potrebbe rammentare la guerra nelle Malvinas al largo dell'Argentina, chiamate Falklands dagli occupanti britannici. Qualcuno potrebbe aver da ridire sul ruolo di capo religioso della chiesa Anglicana, eredità anacronistica di un'epoca storica passata nella quale il potere politico veniva legittimato da quello religioso. E io, personalmente, ho molto da ridire sul fatto che nel XXI secolo ci sia ancora qualche persona che di professione fa il Re per diritto dinastico, mantenuto dalle tasse dei lavoratori. Su quest'ultimo punto convengo, almeno, che nel lungo regno di Elisabetta II lo United Kingdom sia prima entrato nella CEE (1973) e poi uscito dall'Unione Europea (2020), ponendo così fine al paradosso del "cittadino Re" che nell'UE invece permane per i sovrani di Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Belgio e per il "cittadino Granduca del Lussemburgo".

Non faccio sconti invece sulla perdurante e pervicace politica imperialista che la Corona Inglese ha sempre appoggiato, pur con la trasformazione dell'Impero Britannico in Commonwealth e con l'alleanza strategica di matrice massonica con gli USA e con Israele, che ha di fatto trasformato quello che ancora viene chiamato per abitudine "Occidente" in quella che più correttamente dobbiamo ormai rinominare e riconoscere come "Anglosfera".

Pertanto cristianamente non rivolgo alcun pensiero negativo alla signora Elisabeth Alexandra Mary Windsor, alias di Sassonia-Coburgo-Gotha, a cui va il mio rispetto umano. Ma da cattolico, repubblicano, indipendentista - seppure veneto e non irlandese - non nutro alcuna simpatia verso le monarchie, in particolare verso quella britannica per tutto quello che rappresenta di palese e, ancor più, di occulto. E lo dico apertis verbis, fossi anche l'unico al mondo.

 

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