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Pensiero e Idee 13-06-2025

L'INGANNO ECOLOGISTA

La retorica ambientalista è solo uno sviluppo del neomarxismo che ha come obiettivo l'abolizione della proprietà privata, eccetto che per l'élite globalista. Analizziamo alcuni aspetti per capire la questione.

 

 

Il cosiddetto Green Deal europeo, presentato come un’ambiziosa iniziativa per la “transizione ecologica” e lo “sviluppo sostenibile”, si sta progressivamente rivelando come qualcosa di ben diverso da un piano razionale per la salvaguardia del creato. Dietro una narrazione accattivante, punteggiata di parole d’ordine come giustizia climatica, resilienza ambientale e neutralità carbonica, si delinea un progetto culturale e politico che rischia di sovvertire in profondità l’antropologia cristiana e il fondamento stesso della civiltà europea.

A partire dalla visione della persona umana.

Nel paradigma che va affermandosi attraverso le politiche ambientali imposte dall’alto — spesso più in forza di organismi sovranazionali che di un reale consenso democratico — l’essere umano viene progressivamente spogliato della sua centralità ontologica nella creazione. Non è più la creatura voluta da Dio a immagine Sua, posta al vertice del mondo visibile e chiamata a coltivarlo con responsabilità e gratitudine; diventa invece un fattore di squilibrio, un problema da regolare, monitorare, persino limitare, in nome della salvezza del pianeta.

Questa inversione della gerarchia naturale e spirituale delle cose è, per chi si riconosce nella Tradizione cattolica, inaccettabile e allarmante. Non si tratta, è bene chiarirlo, di mettere in discussione il dovere di custodire la casa comune. Ma proprio nella prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, la priorità del bene dell’uomo e della sua libertà non può essere sacrificata sull’altare di un ambientalismo ideologico che, spesso, finisce per favorire interessi economici e finanziari ben precisi.

L’attacco alla proprietà privata

Un esempio concreto è rappresentato dalle nuove normative UE in materia di edilizia e trasporti, che impongono standard “green” di difficile attuazione e a costi insostenibili per la maggior parte delle famiglie europee. L’obbligo di adeguamento energetico degli immobili o il progressivo divieto di utilizzo di veicoli a combustione interna non rappresentano semplicemente incentivi verso tecnologie più sostenibili, ma rischiano di diventare forme indirette di esproprio: chi non avrà le risorse per adeguarsi, sarà spinto a cedere casa o auto e a dipendere da modelli di “servizio” che ne limitano fortemente l’autonomia.

È difficile non vedere in queste dinamiche un attacco mascherato alla proprietà privata, uno dei capisaldi della dottrina sociale cattolica, tutelata nella Rerum Novarum come mezzo necessario per il bene delle famiglie, per l’esercizio della libertà e per la difesa della dignità umana. L’idea — proposta con leggerezza in certi ambienti globalisti — secondo cui “non possederemo nulla e saremo felici”, suona meno come una profezia e più come un programma di ridimensionamento antropologico.

Tecnocrazia e controllo sociale

A fare da cornice a tutto ciò è la crescente tecnocratizzazione del potere politico: la gestione delle risorse, dei diritti, delle libertà, viene sempre più affidata a parametri automatici, algoritmi, intelligenze artificiali e vincoli ambientali che non ammettono discussione. Diritti e doveri vengono ridefiniti come “permessi condizionati”, in base al comportamento energetico, sanitario o sociale del cittadino. Si passa, insomma, da un ordinamento fondato sulla legge e sulla persona a uno fondato su rating digitali e tracciabilità permanente.

In questo scenario, la “sostenibilità” diventa il nuovo criterio etico, non più fondato sulla legge naturale, ma sulla compatibilità sistemica con il modello economico globale. Il risultato è una nuova forma di biopolitica, dove il corpo, i consumi, gli spostamenti e le scelte dell’individuo vengono regolati secondo criteri non sempre trasparenti, e non di rado ispirati da visioni antropologiche che nulla hanno a che fare con la tradizione europea.

Una risposta cristiana

La sfida che si pone davanti ai credenti — e a chiunque abbia a cuore la dignità della persona — è allora quella di discernere e reagire. Non si tratta di negare la crisi ambientale né di rifiutare in blocco ogni forma di innovazione: si tratta di riconoscere i limiti e i pericoli di un ecologismo disumanizzante, e di riaffermare il primato dell’uomo come custode del creato, non come colpevole da disciplinare.

La vera “conversione ecologica”, per essere cristiana, deve partire dalla riconversione antropologica, cioè dal ritorno a una visione della persona come immagine di Dio, centro e fine del creato, e non come entità intercambiabile in un sistema automatizzato.

 

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