Torna agli articoli
Pensiero e Idee 03-10-2022

LA MINORANZA CATTOLICA IN ITALIA (e lo scisma latente)

I dati statistici sono impietosi: se ancora l'84% dei cittadini italiani sono battezzati, non più del 17% è praticante. Purtroppo manca la coscienza di essere diventati minoranza e questo relega alla marginalità. E sull'unità di valori...

 

 

Uno dei fattori sociopolitici più importanti del nuovo secolo è la sopraggiunta irrilevanza dei cattolici nella politica della Repubblica Italiana, irrilevanza dovuta a un fatto ancor più importante: il crollo della pratica religiosa e dell'impatto della fede cristiana nella vita delle persone.

Di questi dati incontrovertibili si sono accorti tutti, tranne i cattolici rimasti tali che continuano a rapportarsi con la società circostante come se questa fosse ancora una società cristiana o, al limite, fondata su valori cristiani. Non hanno capito, la maggioranza di essi, che la scristianizzazione è completata e che oggi solo i cattolici praticanti sono ancora ispirati dai valori cristiani. Peraltro, con al loro interno profonde differenze che vedremo sommariamente alla fine dell'articolo.

Innanzitutto c'è un dato che contribuisce a ingannare e a fornire una percezione errata, quello dei battesimi: per una questione di tradizione, di abitudine, addirittura forse di assenza di alternative, i riti di passaggio della vita portano ancora una vasta maggioranza secolarizzata a frequentare i sacramenti a essi collegati, ovvero nascita/battesimo, uscita dall'infanzia/confessione e prima comunione, entrata nell'adolescenza/cresima, unione coniugale/matrimonio, malattia/unzione e infine la celebrazione del funerale in chiesa per la morte. Ciò comporta che ancor oggi ci sia un 84% di cittadini italiani battezzati che, tuttavia, non frequentano la santa Messa, se non a Natale e a Pasqua, se va bene (e non è detto). Questi sono cattolici di nome, ma non di fatto, poiché la fede cristiana non determina le loro scelte di vita né l'orientamento che essi danno alla loro esistenza.

I cattolici praticanti sono stimati, da un recente sondaggio pubblicato sul quotidiano La Verità, al 17% della popolazione. Siamo cioè la principale confessione religiosa, ma siamo una minoranza che sta diventando esigua e non abbiamo sviluppato la comprensione di questo dato.

La società occidentale si sta sviluppando su valori nordamericani - la triade protestantesimo, massoneria e sionismo - ed è improntata all'ideologia liberal-progressista che è caratterizzata dal relativismo etico, dal consumismo economico e da quel nichilismo filosofico che sta a fondamento di tutto l'impianto scaturito dalla rivoluzione illuminista che ha trasformato la civiltà in cui viviamo negli ultimi 3 secoli. Giorno dopo giorno la legislazione di tutti gli Stati distrugge i residui della civiltà cristiana per rimpiazzarli con i fondamenti antropologici della civiltà nordamericana, fondamenti inaccettabili per dei cattolici che abbiano coscienza di quanto accade. Ma questa presa di coscienza stenta a emergere.

Che fare, dunque?

Per chi ha compreso la situazione ci sono due opzioni, non necessariamente alternative: una è quella che Rob Dreher ha definito "Opzione Benedetto" consistente nel ritirarsi in comunità autosufficienti che vivano nella società come gruppi appartati, sul modello dei monaci nei secoli bui succeduti al crollo della civiltà antica e prima che si strutturasse quella cristiana medievale da loro edificata; un'altra è quella di organizzarsi politicamente per difendere i propri diritti e la propria visione della vita in un contesto democratico multiculturale dove si è comunque ancora una minoranza di un certo peso. Vediamo i due aspetti più da vicino.

Per la prima opzione è importante organizzarsi dal punto di vista pratico e logistico, in modo da individuare gli aderenti alla comunità per generare relazioni privilegiate - se non proprio esclusive - in campo lavorativo, produttivo, scolastico, alimentare, dei servizi, della formazione spirituale e religiosa. Per farlo è necessario dar vita a comunità locali con luoghi fissi e con persone di riferimento, strutturate in modo da poter stare in rete con le analoghe comunità sorte altrove. La domanda di obiezione spontanea sarebbe facile: ma non ci sono già le parrocchie, per questo? Purtroppo no! Dovrebbero, ma non ci si può più contare perché si sono snaturate quasi ovunque in seguito alla diffusione dello "Spirito del Concilio", ed è il problema che affrontiamo sotto.

Per la seconda opzione è importante organizzarsi in forma di partito, ma secondo gli schemi buoni dei vecchi partiti e non come gli attuali contenitori di voti al seguito di un leader, finalizzati a entrare negli organi elettorali per fare da punto di riferimento ai lobbisti e ai gruppi di interesse che finanziano le campagne elettorali. Un partito di cattolici che vogliano difendere i valori esistenziali su cui un cattolico praticante imposta la propria vita deve avere una struttura che comprenda il sindacato, la scuola di formazione politica, un comitato scientifico dedicato allo studio dei fenomeni politici e sociali ai quali adattare l'azione e la proposta legislativa del partito, una rete interconnessa di associazioni di scopo coerenti con la visione cristiana nei più vari ambiti, un bacino di imprenditori disponibili a orientare verso questa realtà la quota di denaro che destina abitualmente alla filantropia. Un partito siffatto dovrebbe peraltro sempre sapere che la politica è l'arte del possibile nel mondo del reale, non l'inseguimento dell'utopia per creare il Paradiso in Terra, perché il cristianesimo non può mai essere ridotto e storicizzato a manifesto ideologico o a teoria di una prassi politica. Anche perché in politica non sempre - anzi, quasi mai - la scelta è tra Bene e Male, ma assai più spesso tra meglio e peggio o, addirittura, tra meno peggio e peggiore. Questa cosa va capita soprattutto per chi fa politica rappresentando una minoranza, e vale maggiormente quanto più esigua è tale minoranza.

Infine c'è un altro problema che, purtroppo, è il problema dei problemi per i cattolici di oggi: cattolici sì, ma in che senso?

Ci sono cattolici rimasti rigorosamente fedeli al depositum fidei della bimillenaria Tradizione e ci sono cattolici che sono adeguati alla mondanità e considerano vecchiume anacronistico quel patrimonio. Magari non lo possono affermare per iscritto, anche se taluni lo fanno anche tra gli alti e altissimi esponenti del Clero, ma tale è la realtà delle cose, spesso accompagnata da un sorriso di accondiscendenza che somiglia tanto allo scherno. Sembra quasi che il Concilio Vaticano II sia stato qualcosa di diverso da quello che fu, cioè un Concilio dichiaratamente non dogmatico. Invece per la stragrande maggioranza del Clero c'è una Chiesa preconciliare e una Chiesa postconciliare, affermando così una rottura che non si è conclamata in uno scisma aperto, ma che di fatto esiste. Va rammentato che della chiesa preconciliare, ammesso che tale definizione non sia per se stessa una bestemmia, fanno parte Gesù Cristo, la Beata Vergine Santa Maria, San Giuseppe, gli Apostoli, i Padri, i Dottori, i Martiri e la quasi totalità dei Santi, e che questa Chiesa è appunto una, santa, cattolica e apostolica; se ve n'è un'altra plurale, umana, mondiale ed ecumenica, sarà il caso di prenderne atto una volta per tutte e sancire la divisione, oppure finirla di ostracizzare i fedeli alla Chiesa di sempre, ammettendo il rito tradizionale in ogni luogo di culto dove una comunità di fedeli lo richieda. Ma i vescovi non ci sentono, e in questo momento è proprio il vertice istituzionale del Clero che vuole distruggere la Chiesa di sempre.

Sono questi dei problemi interni gravissimi, per quel 17% di cattolici ancora praticanti, problemi che minano l'unità della Chiesa e si ripercuotono sulla capacità di fare comunità, in un momento storico in cui è tutt'altro che peregrina la proposta di Rob Dreher in "Opzione Benedetto", ma nel quale anche la riproposizione di un partito ispirato ai valori cattolici non sembra fuori luogo, almeno in chiave antiglobalista e cioè a combattere l'ideologia egemone nordamericana sopra descritta.

Serve tanta buona volontà, ma serve innanzitutto la presa di coscienza di essere minoranza e la capacità di liberarsi dai feticci culturali imposti dalla Rivoluzione, a partire dall'Unità d'Italia come dogma indiscutibile per arrivare alla sua rielaborazione su scala continentale, cioè l'Unione Europea centralista e tecnocratica alla quale va contrapposta una visione dell'organizzazione istituzionale del territorio continentale ispirata al principio di sussidiarietà e al modello delle patrie storiche indipendenti nell'interdipendenza, su base federale interna e confederale tra loro. Come si vede, serve tanta buona volontà e c'è tanta strada da fare sul piano culturale.

 

 

 

Condividi articolo