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Pensiero e Idee 05-06-2025

IL PAUPERISMO E' UNA GRAVE ERESIA

Questo articolo vuole fare chiarezza su uno dei più gravi errori del "cattocomunismo" che affonda le radici in un'eresia dalla quale perfino san Francesco volle chiaramente distinguersi

 

 

C’è una verità scomoda, ignorata volutamente da molti e oscurata da un certo sentire clericale moderno: il pauperismo è un’eresia. Lo è in senso teologico, lo è in senso antropologico, lo è in senso storico. La sua penetrazione nella mentalità ecclesiale contemporanea è uno dei più grandi fraintendimenti della povertà evangelica e ha prodotto danni incalcolabili, tanto sul piano pastorale quanto su quello spirituale e culturale.

La ricchezza, in sé, non è né buona né cattiva: è uno strumento. E come ogni strumento, dipende da come viene usata. Se ben usata, può diventare fonte di carità, di sostegno, di evangelizzazione, di bellezza, di bene comune. Se male usata, può essere occasione di rovina. Ma l’abuso di una cosa non ne implica la condanna: sarebbe come dire che l’aria è cattiva perché esistono gli uragani.

Nell’episodio evangelico dell’unzione di Betania (Gv 12, 1-11), è Giuda Iscariota che per primo lancia un discorso apparentemente pauperista: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Ma Giovanni, l’evangelista prediletto, smaschera subito l’ipocrisia di quel gesto: Giuda non parlava per amore dei poveri, ma perché era ladro e, tenendo la cassa, sottraeva quello che vi si metteva dentro.

Ecco il punto: dietro molti discorsi pauperisti non c’è amore per i poveri, ma odio per la ricchezza altrui, frustrazione, ideologia egualitaria, risentimento sociale. Non è un caso che il pauperismo moderno sia spesso il travestimento morale del socialismo anticristico. O peggio ancora, il cavallo di Troia per distruggere l’autonomia della Chiesa, spogliandola della sua forza culturale, spirituale, sociale.

Un grande santo francescano, San Bernardino da Siena, tra i massimi predicatori popolari del XV secolo, combatteva con forza il pauperismo ideologico. In un celebre sermone spiegava che la ricchezza onesta (ossia frutto del lavoro, dell’ingegno, del commercio lecito e della previdenza) è voluta da Dio proprio perché consente a chi la possiede di essere benefattore del prossimo, di sostenere opere buone, di fare il bene nella società. Nessuno si scandalizzava allora se un convento, una cattedrale o un ospedale nascevano grazie alla donazione di un ricco mercante o di un principe cristiano.

Oggi, al contrario, molti ecclesiastici si compiacciono della decadenza delle strutture ecclesiali, del crollo delle vocazioni, del disfacimento dell’arte sacra, del ridicolo delle liturgie povere e disadorne, come se la sciatteria fosse un segno di santità. Ma non lo è. È spesso solo pigrizia, negligenza e auto-disprezzo. Oppure il riflesso ideologico di una Chiesa che preferisce essere “compagna dei poveri” piuttosto che madre di tutti, come sempre fu.

Questa deriva ha avuto anche risvolti concreti e misurabili: le donazioni alla Chiesa cattolica sono in drastico calo, non solo in Italia ma in tutto l’Occidente. E non solo per colpa della secolarizzazione. Il fenomeno ha un nome e un cognome: la linea ideologica dell’ultimo pontificato (ormai concluso) che ha svenduto la missione evangelica per un’agenda mondiale fatta di cambiamenti climatici, migrazioni indiscriminate, gender inclusivity (vedi documento "Fiducia supplicans") e appiattimento sulle parole d’ordine dell’Agenda 2030, del Forum di Davos e della Open Society di Soros, con Emma Bonino, Luca Casarini e Greta Thunberg al posto dei santi e della Madonna. Un tempo si diceva che dare alla Chiesa era “dare alla propria madre spirituale”; oggi molti si domandano se non sia dare ai burattinai dell’ideologia globalista.

I numeri parlano chiaro: secondo i dati ufficiali della CEI, il gettito dell’8x1000 per la Chiesa cattolica è passato da circa 1,1 miliardi di euro nel 2010 a poco più di 900 milioni nel 2022, dato in ulteriore peggioramento e che si spera inverta la tendenza con papa Leone XIV. Un calo significativo che non si spiega solo con la crisi economica o con la concorrenza di altre confessioni. Si spiega con la disaffezione crescente di molti fedeli che non si riconoscono più in una Chiesa politicizzata, ideologizzata, ripiegata su un pauperismo sterile e su battaglie che non hanno nulla di evangelico.

Perché un cristiano dovrebbe continuare a sostenere economicamente una Chiesa che non annuncia più il Vangelo ma fa eco ai documenti dell’ONU? Che non parla più di salvezza eterna ma di “transizione ecologica”? Che non difende più la vita ma corteggia i nemici della vita, come accaduto con la propaganda vaccinista funzionale agli interessi delle industrie farmaceutiche nel periodo pandemico?

No. La vera povertà evangelica non è il pauperismo. La vera povertà è distacco interiore dai beni, non il rifiuto ideologico della ricchezza. Un cristiano può essere povero, ma può anche essere ricco, purché non si lasci corrompere dal denaro e lo metta al servizio del bene.

E se la Chiesa, oggi, fosse davvero piena di carità e fede, se fosse bella e luminosa, se fosse fedele alla Tradizione e libera dal potere mondano, non ci sarebbe bisogno di “fare collette”: i fedeli darebbero tantissimo, come nella Chiesa delle origini.

Perciò bisogna dirlo con franchezza: il pauperismo è un’eresia, perché mente sull’essenza della povertà evangelica, distorce la dottrina cristiana, sfigura la bellezza della Chiesa e toglie ai fedeli la gioia di donare. Ed è dovere dei cattolici fedeli alla Tradizione combattere questa deriva e tenere viva la vera carità cristiana, che passa anche attraverso una giusta ricchezza, conseguita onestamente, messa al servizio del bene.

 

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